Ennio e Mena, azienda Canlibero - Torrecuso (BN)

Canlibero e l’Aglianico fedele a sé stesso

Da quando Farinetti ha registrato il marchio, il Vino Libero mi suona quasi come un ossimoro e ho preso a considerare con sospetto l’uso dell’aggettivo libero in relazione al vino. Ma sbagliavo. E lo scorso fine settimana a Navelli, durante gli assaggi di Dinamiche Bio *  ho fatto un incontro che mi ha aiutato a cambiare atteggiamento: ho scoperto Canlibero.

Canlibero è il marchio di una neonata cantina in quel di Torrecuso, paese devoto a San Liberato. Il nome l’hanno scelto Ennio e Mena, combinando il riferimento al patrono del luogo dove si sono sposati con un omaggio al loro cane Brando, che campeggia in etichetta. Ed evocando con forza l’immagine del cane sciolto, cioè di un vino senza padrone e senza guinzaglio.

etichetta canlibero

Ma non senza radici. La passione per il vino parte infatti da lontano e riannoda un legame antico. «Mio nonno – dice Ennio – era originario dell’agro aversano: vinificava l’Asprinio*, lo conservava nella grotta scavata nel tufo sotto casa e lo vendeva sfuso. Mena, mia moglie, è nata a Torrecuso e proviene da una famiglia di viticoltori: è nei locali della cantina di suo nonno che stiamo portando avanti le nostre prime vinificazioni».

Innamorati del vino di territorio di più esplicita matrice artigianale, Ennio e Mena hanno deciso di assecondare la crescente passione seguendo un ciclo di incontri organizzato da Porthos* . Così, nelle fiere del vino naturale frequentate come curiosi e appassionati, dal loro zainetto cominciava ad affacciarsi di tanto in tanto qualche bottiglia, esito dei primi tentativi fatti in casa. Poi da quest’anno il salto di là dal banchetto. Due i vini proposti fin qui: la Falanghina Iastemma osa “bestemmiare” la lingua esatta della vinificazione in bianco, per sfidarla sul terreno della macerazione (tre mesi) sulle bucce; l’Aglianico proviene da un tendone cinquantenne in località Turrumpiso, da cui deriva il nome. La vigna è gestita in biologico, con l’occasionale utilizzo di alcuni preparati biodinamici. In cantina nessun protocollo: fermentazioni spontanee senza inoculo di lieviti, nessun controllo della temperatura, nessun ricorso alla solforosa, decantazioni con travasi, senza filtrazioni né chiarifiche.

«Il vino che ci sta a cuore dovrebbe riuscire a emozionare chi lo beve, ma anche a comunicare la personalità di chi lo ha prodotto».

Al Turrumpiso 2013 vinificato in acciaio, la personalità non fa difetto: il sorso è dinamico e succoso, capace di esplorare senza pregiudizi quella linea di confine tra fragranza e rusticità del sapore che accomuna spesso gli esiti più riusciti del vino di ispirazione contadina. Mentre assaggio, Ennio e Mena seguono divertiti le manfrine della mia degustazione. Ma lo sguardo è limpido e il sorriso è sincero: viene da fidarsi. E viene da pensare con curiosità a un vino libero nel senso di arrischiato, libero di imparare dai propri errori, senza l’assillo di una sudditanza acritica verso i protocolli di un’enologia prescrittiva. Ma soprattutto libero nel senso di fedele a se stesso: non solo alle proprie idealità, ma anche alle eventuali imperfezioni e difetti.
Ripartendo da Navelli, mi tornava in mente lo Jacovitti di «lascia l’ascia e accetta l’accetta». Dopo aver incontrato Canlibero, farò meglio a smettere di guardare al vino libero con diffidenza: comincerò a guardarlo in cagnesco.

Canlibero

Indirizzo: Località Tora II, n° 4 – Torrecuso (BN)
Telefono: +39 347 5050327 – +39 339 1768118
Sito Internet: www.canlibero.com
Email: info@canlibero.com

 

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L'Autore

Giampaolo Gravina

Giampaolo Gravina

Nato ad Amelia nel 1966, vive a Roma da trent’anni. Laureato in Filosofia, collabora con la cattedra di Estetica Fenomenologica all’Università “La Sapienza” di Roma. Autore di saggi e libri, si occupa professionalmente di vino dai primi anni 2000, collabora con le riviste Enogea e Pietre Colorate, è il vice-curatore della guida I Vini d’Italia edita dal gruppo Espresso.
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