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L’Aglianico in Campania, mappe stilistiche e prospettive di mercato

I seminari-degustazione programmati nella prima tappa di Campania Stories I Vini Rossi – Edizione 2014 (Napoli, Grand Hotel Parker’s) si sono chiusi con la mattinata dedicata all’Aglianico in Campania, completando il modulo incentrato quest’anno anche sul Piedirosso e sulla coppia Pallagrello-Casavecchia.

Un focus centrale nella prospettiva didattica della rassegna, perché centrale è il posto che occupa l’aglianico nella Campania del vino, sotto tutti i punti di vista. E’ il vitigno a bacca rossa di riferimento per tutto il sud appenninico, di gran lunga il più coltivato in regione, con oltre 7.000 ettari di vigna censiti su un totale regionale di poco superiore ai 20.000 (quindi oltre un terzo delle superfici). A debita distanza c’è la falanghina, il secondo vitigno campano per diffusione, che mette insieme meno di 2.000 ettari. Ma non solo.

E’ il vitigno più “trasversale”, presente in tutte le province e in tutte le principali zone produttive della regione, è il più presente nelle gamme delle aziende campane: quasi 200 cantine propongono nei loro listini almeno un rosso a base aglianico, senza contare gli imbottigliatori.

Come tante altre varietà regionali, anche l’aglianico ha avuto bisogno di un lungo periodo nel secondo dopoguerra per essere recuperato e valorizzato a pieno, prima di tutto da un punto di vista viticolo. Anche oggi che, come detto, è nettamente la varietà più presente in regione, i numeri sono ben poca cosa se rapportati alle produzioni della prima metà del ‘900, nel periodo precedente all’arrivo della fillossera e allo scoppio della seconda guerra mondiale.

Soprattutto in Irpinia e nel Sannio si produceva tantissimo aglianico, commercializzato perlopiù sfuso e acquistato in larghissima misura da imbottigliatori del centro-nord ed esteri essenzialmente come vino da taglio. Un destino che per tanto tempo ha accumunato molti altri vini del sud, dai negroamaro e primitivo pugliesi ai nero d’Avola siciliani, dai montepulciano abruzzesi ai gaglioppo calabresi.

C’è una storia legata all’aglianico che parte da lontano e trova specifiche ramificazioni nei vari distretti, ma solo in una fase recente si è cominciato a parlarne a livello mondiale come vitigno con una sua peculiare identità, a prescindere dalle declinazioni territoriali. Presso il grande pubblico non ha certo la notorietà di cabernet, merlot, syrah o pinot nero, ma tra operatori ed esperti viene spesso citato come una delle varietà più importanti nell’ambito di quelle legate ad un’area tutto sommato circoscritta.

Tra la seconda metà degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 c’è stato un momento in cui sembrava che l’aglianico potesse diventare una vera e propria “star internazionale”: la critica anglosassone ha cominciato a dedicarvi molta attenzione, sottolineando il valore di questi vini con punteggi che hanno fatto molto parlare e hanno sicuramente contribuito ad un primo boom di esportazioni, a prezzi decisamente premium per alcune delle etichette più ricercate. Nel 2005 una vera e propria investitura sull’importanza del vitigno venne addirittura da Robert “The Wine Advocate” Parker, che in un celebre editoriale si riferiva all’aglianico come “the next big thing” e pronosticava un futuro non lontano in cui, letteralmente, “potrebbe diventare il migliore vitigno a bacca rossa del mondo”.

Ma a quale o quali Aglianico si riferiva il guru americano? A quelli che nascono in prossimità della costa, magari vendemmiati a fine settembre, o a quelli delle zone interne generati a ridosso dei 600 metri, raccolti talvolta a novembre inoltrato? Quelli densi e generosi, che possono richiamare certe espressioni del Nuovo Mondo, o quelli decisamente austeri che giustificano la definizione di “nebbiolo del sud”?

Ad alcune di queste domande si è cercato di rispondere con il laboratorio, come di consueto sviluppato in sinergia con le aziende partecipanti, che hanno avuto modo di presentare anche vecchie annate dei loro vini a base aglianico. Una ricognizione divisa in tre blocchi, ciascuno dedicato agli Aglianico di un distretto regionale: nella prima parte era protagonista la provincia di Benevento, nella seconda gli Aglianico della provincia di Caserta, chiudendo con quelli della provincia di Salerno.

La giornalista russa Eleonora Scholes

La giornalista russa Eleonora Scholes

Particolarmente interessante è stato il confronto tra i giornalisti e produttori nato da questo lungo focus. Per la giornalista russa Eleonora Scholes “l’aglianico in Campania è molto significativo, ma in Russia per ora è ancora poco conosciuto. Si sa che è una varietà longeva e complessa, ma non c’è comunicazione né massa critica per prendere familiarità con un vino che di certo non è facilmente approcciabile. Quelli di Benevento mi sono sembrati molto tannici ed austeri, a Caserta e Salerno sono diversi: non tutti i terroir possono fare grandi vini ma sicuramente c’è spazio per un ampio panorama di stili”.

Il giornalista e Master of Wine britannico Peter McCombie

Il giornalista e Master of Wine britannico Peter McCombie

Per il Master of Wine britannico Peter McCombie “l’aglianico nel Regno Unito parla ancora ad un mercato di nicchia e il punto di partenza non può che essere l’Italia. Bisogna formare i ristoratori italiani, proporlo sempre con i giusti abbinamenti: solo così i fan dell’aglianico, quale io mi reputo, possono crescere e contagiarsi a vicenda”.

Una sottolineatura di carattere più culturale arriva dal winewriter statunitense Nathan Wesley: “gli americani ammirano il life style italiano, conoscono alcuni brand come Chianti e Brunello ma solo in pochi sanno che sono vini a base sangiovese. Il modo migliore per comunicare l’aglianico è probabilmente organizzare seminari con giornalisti e poi fare educazione a sommelier e ristoratori, individuando come target i giovani del nuovo millennio, curiosi ed aperti a nuovi suggerimenti. Nei bicchieri c’è storia e qualità, la comunicazione non dovrebbe essere così difficile, ma è fondamentale riuscire a lavorare ancora di più sull’immagine della Campania, scrigno incredibile di tesori”.

Il giornalista austriaco Christian Eder

Il giornalista austriaco Christian Eder

E’ d’accordo il giornalista della rivista Vinum, Christian Eder: “ha ragione Robert Parker, l’aglianico è un gran bel vitigno che può dare risultati interessanti dalla costa fino ai 600 metri. I vini che abbiamo assaggiato presentano stili diversi e secondo me è un valore positivo, anche se mi rendo conto che all’estero può diventare un po’ un problema di riconoscibilità e chiarezza. L’aglianico non gioca ancora in serie A, ma molto dipende anche dalla comunicazione e dalla consapevolezza delle varie zone. Eppure le potenzialità ci sono tutte”.

La giornalista austriaca Luzia Schrampf

La giornalista austriaca Luzia Schrampf

Gli fa eco la collega Luzia Schrampf: “è assolutamente da sottolineare la capacità di invecchiamento dell’aglianico. Sono vini che si conservano tremendamente giovani anche a distanza di tempo, mentre nelle prime fasi c’è qualche tannino più verde e aggressivo che può penalizzare la beva. Gli Aglianico della provincia di Salerno sembrano comunque più facili da approcciare, più morbidi e avvolgenti rispetto agli altri”.

Il giornalista giapponese Isao Miyajima

Il giornalista giapponese Isao Miyajima

Una sintesi molto efficace arriva dal giornalista giapponese Isao Miyajima: “sono vini molto interessanti e l’aglianico è un vitigno tutto da scoprire, ma capisco le difficoltà che incontrano le aziende sui mercati. I vini italiani nel mondo hanno la fortuna di poter essere trainati dalla cucina e dalla cultura, ma quando si parla di cucina campana di solito non si comunicano questi grandi vini. Più l’ aglianico diventa ambizioso, più va a colpire una fascia già per molti versi satura per esempio con Barolo e Sagrantino. Il fatto è che spesso non sono vini facili da consumare, non sono rossi da stappare tutti i giorni: richiedono certe occasioni e certi piatti. Ma non bisogna snaturarli per questo: essere grandi non significa sempre avere facilità di vendita”.

L’Aglianico in Campania – I Vini del Seminario

Prima Parte: Gli Aglianico della provincia di Benevento

1. Sebastianelli – Sannio Aglianico 2009
2. La Guardiense – Sannio Guardia Sanframondi Aglianico Cantari Riserva 2008
3. Mustilli – Sannio Sant’Agata dei Goti Aglianico Cesco di Nece 2008
4. La Rivolta – Aglianico del Taburno Terra di Rivolta Riserva 2008
5. Torre a Oriente – Aglianico del Taburno ‘U Barone 2006
6. Fontanavecchia – Aglianico del Taburno Vigna Cataratte Riserva 2005

Prima Parte: Gli Aglianico della provincia di Caserta

7. Ager Falernus – Falerno del Massico Primitivo 2011
8. Trabucco – Falerno del Massico Rosso Rapicano 2010
9. Se.Vin. – Galluccio Rosso Don Giovanni Riserva 2010
10. Migliozzi    Falerno del Massico Rosso Rampaniuci 2008
11. Masseria Felicia – Falerno del Massico Rosso Etichetta Bronzo 2006
12. Villa Matilde – Falerno del Massico Rosso Vigna Camarato 2001

Prima Parte: Gli Aglianico della provincia di Salerno

13- Montevetrano – Campania Aglianico Core 2012
14. Barone – Cilento Aglianico Pietralena 2011
15. Cuomo Marisa – Costa d’Amalfi Furore Rosso Riserva 2008
16. Vuolo – Colli di Salerno Aglianico 2Mila7 2007

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