I ragazzi di Casula Vinaria, Campagna (SA)

Intelligenza liquida: Casula Vinaria, Aglianico Brigante 2012

Quindi non è vero che non può tecnicamente esistere, come dicono in molti, un Aglianico di “pronta beva”, piacevole senza essere banale, funzionale alla tavola senza costringere ad abbinamenti estremi.

E’ la vignetta che si forma nella mia testa mentre assaggio il Brigante 2012 di Casula Vinaria, piccola realtà ubicata a Campagna, in provincia di Salerno, guidata dai giovani cugini Armando Ruggiero, Daniele e Fiorello Iuorio.

Un vino “intelligente” sotto molteplici punti di vista.

Perché non tenta in nessun modo di sembrare quello che non è e non può essere.

Perché è una scelta precisa dei loro artefici.

Perché i “limiti” del terroir di origine, la vallata del Sele a ridosso dei monti Picentini, sono accettati e rispettati.

Perché l’aglianico qui coltivato deve fare i conti con un minus di potenza e trama rispetto alle zone “classiche”, ma ciò viene colta come un’opportunità e non come un problema a Casula Vinaria.

Perché lo potrebbero fare ugualmente, volendo, il rosso da 40 di estratto, ma occhi aperti e memoria di esperienze sul campo aiutano a fare le scelte “giuste” anche dopo poche vendemmie.

Perché è proposto ad un prezzo perfettamente centrato, intorno ai 5 euro più iva per gli operatori, che vuol dire sotto i 10 euro in enoteca e difficilmente sopra i 15 al ristorante.

Perché è uno di quei pochi Aglianico campani che può entrare senza preoccupazioni in una rotazione di mescita, perché è uno di quei pochi Aglianico campani che vale la pena di sbicchierare e può soddisfare sia il fantomatico “esperto”, sia il “giovane” non così interessato al vino e agli abbinamenti.

Perché non c’è nessuna forzatura estrattiva, ma un frutto croccante e goloso, non sprovvisto di spalla, con tannini non piallati eppure dolci e risolti.

Casula Vinaria - Brigante '12
Poco rilevano le specifiche enologiche, che segnalano brevi macerazioni e un affinamento per la stragrande parte in acciaio, con un 20% maturato in tonneau da 5 ettolitri usati. Quello che conta è la lungimiranza con cui alcune aziende campane (sebbene ancora troppo poche) stanno finalmente prendendo coscienza dell’importanza di avere nella propria gamma dei vini “base” di questo tipo, tanto disimpegnati nell’espressione quanto “pensati” nel profilo. Tipologie per molto tempo trascurate e relegate essenzialmente al ruolo di “scarti di lavorazione”, che invece si rilevano quasi “vitali” nell’economia di cantina, per l’attuale congiuntura finanziaria ma anche per i cambiamenti nel gusto e nei comportamenti di consumo.

Uno scenario con cui si sono trovati a fare i conti proprio i distretti a vocazione quasi esclusivamente rossista, e in particolare quelli che poggiano la quota principale della piattaforma varietale sull’aglianico. Un vitigno che per le sue caratteristiche si presta il più delle volte a plasmare vini potenti ed austeri, che richiedono un adeguato periodo di affinamento in cantina e in bottiglia. Premesse che rendono dunque complicata la realizzazione di etichette di basso prezzo, da commercializzare dopo pochi mesi, perdipiù giocati sull’immediatezza e la godibilità.

Una difficoltà che si riflette su fatturati e flussi di cassa, motivo per il quale in questi territori quasi tutte le aziende cercano comunque di ampliare la proposta, inserendo qualche bianco e ricorrendo, se necessario, all’acquisto di uve e vini fuori zona. Non è un caso se in un comprensorio di primo piano per l’Aglianico come quello del Vulture si sia ricominciato a discutere sull’opportunità di consentire la coltivazione di vitigni alieni alla tradizione. Non entreranno con buona probabilità nell’uvaggio stabilito dalla Dop, ma dalle istituzioni arrivano segnali favorevoli all’introduzione di varietà come merlot, syrah, cabernet, malbec (o traminer, muller thurgau, viognier tra quelle a bacca bianca), al fine di produrre vini più accessibili da affiancare agli Aglianico del Vulture più ambiziosi. Argomento all’ordine del giorno in Basilicata, che può tuttavia facilmente estendersi ad aree come quelle del Falerno e dell’Alto Casertano, ma anche del Taurasino e del Sannio-Taburno, sebbene in misura molto minore grazie alla disponibilità di fiano, greco e falanghina.

Delle due l’una, in definitiva. O si ha la fortuna e la bravura di poter lavorare su altre uve, a bacca bianca o scura non importa, che assicurano buoni risultati su tipologie di “pronta beva”, oppure ci si deve inventare qualcosa. Con creatività e ascolto delle peculiarità territoriali, per ritagliarsi anche solo con l’aglianico uno spazio in questo segmento sempre più strategico oggi. I “ragazzi” di Casula Vinaria lo stanno facendo e noi gli diciamo convintamente: bravi.

Casula Vinaria

Indirizzo: Via Mattinelle, 109 – Campagna (SA)
Telefono: +39 348 5437133
Sito Internet: www.casulavinaria.com
Email: info@casulavinaria.com
Superficie aziendale vitata: 4 ettari
Produzione annua (media): 20.000 bottiglie
Visite e vendita diretta in azienda

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L'Autore

Paolo De Cristofaro

Paolo De Cristofaro

Irpino classe 1978, lavora a tempo pieno nel mondo del vino dal 2003, dopo la laurea in Scienze della Comunicazione e il Master in Comunicazione e Giornalismo Enogastronomico di Gambero Rosso. Giornalista e autore televisivo, collabora per numerose guide, riviste e siti web, tra cui il blog Tipicamente, creato nel 2008 con Antonio Boco e Fabio Pracchia. Attualmente è il responsabile dei contenuti editoriali del progetto Campania Stories, nato da un’esperienza ultradecennale nell’organizzazione degli eventi di promozione dei vini irpini e campani con gli amici di sempre. Dal 2013 collabora con la rivista e il sito di Enogea, fondata da Alessandro Masnaghetti.
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