I Favati e Picariello

Fiano vs Resto del Mondo

Non si intuisce d’acchito, ma quella sullo sfondo è la luce del mare. Ero allo Scoglietto di Rosignano Solvay, vicino Livorno *. Ormai luogo di culto per tanti appassionati di vino, il ristorante gestito da Claudio Corrieri esibisce fragrante cucina di pesce legata al territorio e una più che golosa carta dei vini, tra le migliori in Toscana, costruita con entusiasmo e competenza.

Sabato scorso non ho resistito al richiamo del Fiano. Annata 2012. I Favati e Ciro Picariello. Partiamo dall’azienda di Cesinali. Il Pietramara Etichetta Nera ’12 de I Favati è stato servito a una temperatura di circa dieci gradi. L’espressione olfattiva è inizialmente timida. Mentre si scalda, il vino, ottenuto da circa cinque ettari di vigna ubicati sulle colline di Atripalda, esprime note che mi ricordano frutta tropicale con echi di erba secca per un palato succoso, un filo alcolico e quindi caldo ma dotato del necessario guizzo acido. Per Picariello invece una temperatura di servizio più alta ha consentito di apprezzare, in tutta la sua avvolgenza, la vena olfattiva affumicata, quasi di torba (almeno per me il connotato principe del vino del vignaiolo di Summonte), unita in magistrale armonia con sensazioni quasi balsamiche di erbe di campo e fiori gialli. Anche qui palato vibrante, armonico e dotato di affascinante naturalezza espressiva.

Due declinazioni diverse del medesimo vitigno. Il Pietramara appare più puntuale, con un’espressività composta che non cela, a suo vantaggio, l’appartenenza. Picariello è voluttuoso, meno preciso se vogliamo, ma denso di personalità trascinante e dal sorso brillante.

Ciò che accomuna questi due vini è la gioiosa disponibilità al cibo, di mare nello specifico. Tagliolini di pasta fresca con riccio e cappone (appena portato da un pescatore) bollito con verdure sono stati i piatti ordinati dal sottoscritto. Picariello è apparso perfetto con il riccio aggiungendo la sua complessa veste gustativa alla fresca nudità iodata dell’echinoderme. Il Fiano di Avellino de I Favati non ha oppresso la delicata carne del pesce bollito, esaltandone l’integrità attraverso la perfetta tessitura acido-sapida.

Non così bene sono andati il Templare 2007 di Montenidoli, apparso fiaccato dal tempo, e lo Chablis 1er Cru Vosgros 2012 del Domaine Droin Jean Paul e Benoit, a dir poco schiacciato dalla solforosa.

Come dire, Fiano di Avellino contro Resto del Mondo 2-0.

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L'Autore

Fabio Pracchia

Fabio Pracchia

Nato a Lucca nel 1973, lavora nel mondo del vino da circa vent’anni. Una dimensione totalizzante vissuta da diverse prospettiva, da operaio in vigna ad enoteca rio, da assaggiatore professionale a redattore. Dal 2009 collabora con i nuovi progetti editoriali di Slow Food, a cominciare dalla guida Slowine, dove il racconto della qualità organolettica è strettamente legata agli aspetti etici ed umani della produzione vitivinicola italiana.
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