collage grecata

Cantina Giardino, Greco T’Ara Rà 2009

Qualche giorno fa ci siamo ritrovati con i soliti amici emiliano-romagnolo-lumbàrd per un’anarchica grecata. Mi divertono un mondo giornate come queste, in primo luogo per l’atmosfera gioiosa e rilassata, un tantinello diversa dal cliché delle degustazioni da laboratorio. Ma soprattutto perché danno modo di confrontarsi con persone curiose e preparate, abituate a bere bene spaziando per i cinque continenti. Si mettono a fuoco tanti dettagli inediti in queste occasioni, limitando il rischio di cantarsela e suonarsela, come troppe volte accade quando si assaggiano e riassaggiano i vini delle proprie zone senza avere una visione di insieme, senza domandarsi mai qual è la loro collocazione in rapporto a tutto quello che c’è fuori.

Un appuntamento per me ancora più stimolante alla luce del precedente: buona parte del gruppo, infatti, era composto dalle stesse persone con cui lo scorso maggio avevamo organizzato una panoramica dal format simile a tema Fiano di Avellino. Mi interessava molto capire in che modo i due bianchi irpini parlassero, al di là degli aspetti strettamente tecnici, ad appassionati e smaliziati bevitori. Ed è stato confortante ritrovare tutta una serie di spunti e riflessioni sulle quali da tempo ci si misura dalle nostre parti. Detta in soldoni: il Fiano è percepito come un bianco di lignaggio superiore, capace di garantire un livello espressivo più elevato, coerente ed omogeneo rispetto al “fratello” tufese. Ma il Greco buono diverte e coinvolge maggiormente, grazie alla sua imprevedibilità, la sua fantasia, oserei dire la sua empatia senza fronzoli, a volte fin troppo diretta magari, ma autentica e genuina. L’anima rock del Greco comunica, insomma, anche a chi frequenta assiduamente Mosella e Montrachet, ed ottiene totale rispetto quando entrano in campo i fuoriclasse della denominazione.

Il percorso che avevo preparato prevedeva 24 vini divisi in dodici batterie tematiche. Una sorta di lunga “diagonale” ritmata da confronti stilistici e territoriali sulla stessa annata, tappe intermedie nell’attraversamento di una finestra ultraventennale, dal 2012 al 1989. E’ stato un po’ come salire sulle montagne russe, con violenti alti e bassi, ma alla fine del viaggio le emozioni più forti avevano in buona sostanza per tutti gli stessi nomi. Vigna Cicogna 2010 di Benito Ferrara (link), Tornante 2008 di Vadiaperti, il 2003 di Pietracupa, il 1992 di Vadiaperti: erano alcune delle bottiglie da cui mi attendevo di più e non hanno tradito le attese. Bianchi di statura assoluta, ben sostenuti da una “seconda linea” di rilievo, composta da bellissime riuscite come il Selvetelle 2012 di Centrella, il Greco 2011 di Di Prisco, il 2009 di Cantine dell’Angelo, il “base” 2006 nuovamente di Benito Ferrara e Pietracupa, e altri ancora.

Il feedback che mi ha maggiormente colpito, però, è arrivato da uno di quei vini inseriti nella degustazione prima di tutto in funzione “didattica”. Si parla sempre, a ragione, della grande versatilità enologica del fiano, ma se andiamo a vedere nel dettaglio oggi è il Greco la varietà irpina su cui si sperimentano le più ampie soluzioni tecniche. E’ stato illuminante, per esempio, testare fianco a fianco i due Terrantica pari annata de I Favati, l’Etichetta Nera di vinificazione classica e l’Etichetta Bianca, realizzata con l’ultima raccolta e l’ausilio della criomacerazione. Oppure far sentire cosa può essere un Greco affinato in legno piccolo come il Giallo d’Arles di Quintodecimo, una vendemmia tardiva lavorata in acciaio come il Picoli di Bambinuto o in tonneaux come il Raòne prima maniera di Torricino. Ma nessun vino ha suscitato attenzione e alimentato il dibattito come il T’Ara Rà 2009 di Cantina Giardino.

Giardino - T'ara ra' '09

Se questo è il greco macerato, viva il greco macerato, potrebbe essere la sintesi. I miei amici non sono certo dei fan della tipologia, eppure lo hanno pienamente apprezzato dopo un primo impatto un po’ controverso: orange wine nel vero senso della parola, è partito con timbriche fenoliche e terziarie, confermate nel sorso robusto e severo per l’apporto tannico. Li osservavo un po’ perplessi, ma hanno tutti tenuto il bicchiere lì per seguirlo con pazienza e scoprire un greco multiforme, minuto dopo minuto più ampio aromaticamente e armonico gustativamente grazie all’ossigenazione e all’aumento della temperatura.

Proprio la riconoscibilità è forse la principale dote di questo vino: a differenza di quel che accade con tanti bianchi macerati, nel T’Ara Rà di Antonio Di Gruttola e soci la tecnica produttiva non sovrasta l’identità territoriale e varietale. E’ greco ed irpino in tutto e per tutto, perché i richiami di albicocca e frutta secca, di mais tostato e spezie orientali sono pienamente nel range espressivo del vitigno. Così come la struttura da rosso, l’incedere scalpitante e sulfureo, il doppio scheletro orizzontale e verticale rientrano perfettamente nelle aspettative di chi apprezza la tempra più viscerale e contadina del bianco tufese.

Fermentazione spontanea e macerazione di una settimana in tino tronco-conico aperto da 27 hl, il T’Ara Rà 2009 è rimasto circa un anno sulle fecce fini, senza aggiunta di solforosa, chiarifiche o filtrazioni. Resta per me la migliore versione di sempre, insieme alla 2006, e il più riuscito degli orange wine campani: se ne avete in cantina stappatelo, perché è in una fase espressiva particolarmente felice. Se non ne avete, datevi da fare e recuperatela, ne varrà la pena. Apritela con qualche ora di anticipo e bevetela a temperatura da rosso.

Non meno di 16-17 gradi, non è un dettaglio da maniaci: è ormai assodato che per godere a pieno vini di questo tipo bisogna dargli tempo e cura, senza mortificarli col freddo. Tenendo a portata di mano zuppe ricche, preparazioni di carne in padella (anche ovine e caprine), formaggi a pasta molle saporiti. E se pesce deve essere, che sia quello “tradizionale”: stocco o baccalà, magari alla pertecaregna, e passa la paura.

foto: Emiliano Luciano e Francesco Amodeo

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L'Autore

Paolo De Cristofaro

Paolo De Cristofaro

Irpino classe 1978, lavora a tempo pieno nel mondo del vino dal 2003, dopo la laurea in Scienze della Comunicazione e il Master in Comunicazione e Giornalismo Enogastronomico di Gambero Rosso. Giornalista e autore televisivo, collabora per numerose guide, riviste e siti web, tra cui il blog Tipicamente, creato nel 2008 con Antonio Boco e Fabio Pracchia. Attualmente è il responsabile dei contenuti editoriali del progetto Campania Stories, nato da un’esperienza ultradecennale nell’organizzazione degli eventi di promozione dei vini irpini e campani con gli amici di sempre. Dal 2013 collabora con la rivista e il sito di Enogea, fondata da Alessandro Masnaghetti.
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