Collage vitigni bianchi

Bianchi Campani 2013: il ritorno degli anni ‘80

Allora, come sono questi bianchi campani del 2013?

Diamo per scontato il solito disclaimer sull’impossibilità di selezionare un unico aggettivo che vada bene per territori distanti tra loro anche 250 chilometri e diciamo subito che, prime orizzontali alla mano, si tratta di un’annata quanto meno positiva.
Nel “gruppone” è possibile pescare tanti vini dal discreto all’eccellente, a seconda delle zone, delle tipologie e degli interpreti, apprezzati dagli operatori e dagli appassionati meno frettolosi.

Certo, è frustrante pensare a quanto questi ragionamenti suonino lunari nel “mondo reale”, con effetti al limite del paradosso. Noi siamo qui a dedicare il primo post sulla vendemmia 2013 a metà luglio e lo facciamo in maniera decisamente prudente, sapendo per esperienza che è perfino troppo presto per un’analisi pienamente sensata. Facendo finta di ignorare che nel frattempo larga parte del “materiale didattico” in forma di bottiglie non passerà l’estate: fiumi di falanghina, fiano e greco 2013 scorreranno nei locali della costa e già da ottobre i produttori dovranno rispondere alle telefonate dei ristoratori che vogliono al più presto i bianchi 2014. Nonostante tutti gli sforzi, i numerosi articoli a tema, le degustazioni e le retrospettive, per il cosiddetto “cliente comune” ancora oggi l’oste che gli propone un bianco di due anni sta provando a rifilargli uno scarto di magazzino. Qualcosa si muove, ma molto più lentamente di quello che possiamo immaginare nella nostra super nicchia di bevitori consapevoli e addetti ai lavori. Naturalmente è una questione che non riguarda esclusivamente la Campania, ma qui gli effetti sono vieppiù visibili se consideriamo le caratteristiche dei suoi migliori vini. Che hanno tutto da perdere nel confronto sul breve periodo e riescono in molti casi a svelare le loro doti migliori solo dopo un adeguato affinamento in bottiglia.

Non per questo possiamo rinunciare al lavoro cronistico, ancor prima che critico. Anche e soprattutto in considerazione del fatto che le cose funzionano molto diversamente, per fortuna, su altri mercati: in Asia, Nord Europa, Americhe, trovare in carta un bianco imbottigliato a pochi mesi dalla vendemmia rappresenta non la regola ma l’eccezione. E il crescente interesse per i vini campani in ambito internazionale si accompagna ad una sempre più stringente richiesta di informazioni sui vari millesimi, da inquadrare per caratteristiche, prospettive evolutive, finestre di consumo, e così via.

L’andamento climatico in sintesi

Esauriti i preamboli, va subito ricordato come il racconto dell’ultima annata per i bianchi campani sia in larghissima parte riconducibile a quanto registrato trasversalmente a livello nazionale. Al di là delle infinite variabili geoclimatiche, dalle Valle d’Aosta alla Sicilia la 2013 verrà ricordata come una vendemmia decisamente fresca, irregolare e capricciosa. Classica, direbbero i francesi, ma a ben vedere atipica se rapportata alla successione di millesimi caldi e siccitosi che hanno dominato nel Bel Paese dall’inizio del nuovo millennio. Una stagione dal forte “sapore anni ‘80”, come è stato più volte efficacemente sottolineato, che ha impegnato a lungo i viticoltori nella gestione dei trattamenti, delle rese e dell’ideale momento di raccolta, quasi dappertutto ritardato rispetto alla media degli ultimi lustri.

Come in molte altre zone, il diario di bordo in Campania segnala un inverno freddo ma senza eccessi, con precipitazioni nella media e isolate finestre di gelo intenso. La prima parte della primavera è stata più fresca e piovosa rispetto alle due annate precedenti, con temperature salite lentamente solo dalla fine di aprile, con un mese di maggio tiepido e luminoso.
Poi i primi “capricci” del meteo: estremamente fredda e piovosa la coda della primavera così come l’inizio dell’estate, dalla prima decade di giugno fino a metà luglio temperature costantemente inferiori alla media e precipitazioni abbondanti, con continui acquazzoni pomeridiani. Condizioni più stabili nella seconda metà di luglio e per buona parte di agosto, con due brevi finestre di caldo intenso legate all’anticiclone nordafricano e qualche grandinata, verificatesi a macchia di leopardo in diverse zone della regione.
Settembre ancora fresco e capriccioso, con foschie e rugiade mattutine anche nelle giornate più asciutte e solari. Paradossalmente più “estivo”, con qualche ulteriore finestra umida, il periodo da fine settembre agli ultimi giorni di ottobre, con temperature massime stabilmente intorno ai 25 gradi e una vera e propria “estate di San Martino” anticipata verso la fine del mese.

Specifiche agronomiche e produttive

Dopo due vendemmie quantitativamente scarse, la 2013 ha fatto registrare produzioni in linea con i volumi “storici” dell’ultimo ventennio, mediamente superiori di un 20% in regione rispetto alla 2012. Come detto è stata un’annata tardiva, con raccolte protrattesi per quasi due mesi per le uve bianche, dalla prima metà di settembre per le zone e le varietà più precoci fino addirittura all’inizio di novembre nelle aree interne più fredde ed acclivi. Soltanto nel 2004 e nel 2010 (e in parte nel 2005) ci sono state raccolte così tardive in Campania nell’ultimo decennio, ma in questo caso è stato molto più difficile programmarle in maniera ordinata. Contrariamente a quanto accade di solito, infatti, le vendemmie dei diversi vitigni si sono completamente accavallate, tra fiano e greco prima di tutto, ma anche su coda di volpe, falanghina e altre varietà “minori”.

In ogni caso il dato più importante per inquadrare il millesimo è senza dubbio quello relativo alle precipitazioni: nei primi 10 mesi dell’anno 2013 si sono registrati dagli 800 ai 1.200 millimetri di pioggia a seconda delle zone, quasi il doppio rispetto a ciascuna delle due annate precedenti. Con una serie di implicazioni sul fronte agronomico, a partire dal fatto che si è reso necessario quasi il doppio dei trattamenti di copertura rispetto alle vendemmie vicine.

Il germogliamento è partito in anticipo per le piogge di gennaio e febbraio, poi c’è stato un rallentamento a causa della primavera tendenzialmente “fresca”, poi ancora con il calore di maggio si sono registrate pressioni di oidio, ma soprattutto le piogge di giugno e luglio hanno aumentato la pressione della peronospora. In un primo momento le difese sembravano aver avuto successo, ma l’umidità di agosto ha dato un nuovo impulso agli attacchi e l’incidenza di peronospora larvata, con conseguenze sui grappoli, è stata piuttosto importante. Ad inizio settembre buona parte delle uve era decisamente indietro per quanto riguarda la maturazione zuccherina ma cominciavano ad emergere i problemi sanitari (anche per effetto delle grandinate) che i viticoltori hanno dovuto gestire fino alla raccolta.

Fatta eccezione per due brevi periodi di caldo intenso, praticamente non c’è stata estate (rispetto alle condizioni abituali dell’ultimo decennio), solo poche volte le massime di luglio e agosto hanno sfiorato i 35 gradi (e nelle zone più fresche raramente la colonnina ha superato i 30 °C). In compenso le escursioni termiche un po’ dappertutto sono state meno rilevanti in rapporto a vendemmie più calde. Da ricordare anche l’incidenza delle piogge di settembre, mese quasi sempre “cruciale” nella definizione degli esiti qualitativi ed espressivi dei bianchi campani: tra i 50 e i 90 millimetri a seconda delle zone nell’intero mese.

Naturalmente non tutte le varietà e le zone hanno sofferto allo stesso modo la lunga annata umida. In alcune aree si sono verificati fenomeni di botrytis e marciume ed è stato necessario affrettare la raccolta prima che le uve completassero a pieno la maturazione alcolica e fenolica. Naturalmente i pendii più esposti, acclivi e ventilati (oltre che le vigne condotte in maniera più rigorosa nel carico di uva e nella gestione del verde), hanno avuto molti meno grattacapi.

Meno alcol, più freschezza

Sembrerebbe più complicato del solito, insomma, individuare una chiave di lettura interpretativa che funzioni in maniera univoca per tutti i distretti e, a volte, anche all’interno dello stesso territorio o addirittura per cru limitrofi. Eppure i primi assaggi “collettivi” disegnano un quadro molto meno eterogeneo del preventivabile e per molti versi superiore alle aspettative per livello medio e punte. Emerge innanzitutto un profilo molto coerente, quasi “regionale”, dell’annata, testimoniato prima di tutto da una serie di dati analitici a dir poco ricorrenti: tenori alcolici sensibilmente più contenuti rispetto alle ultime vendemmie (quasi tutti i vini indicano in etichetta valori tra i 12 e i 13 gradi), abbinati ad acidità piuttosto sostenute e ph significativamente più bassi. Premesse che si ritrovano nel bicchiere, con lo zoccolo duro rappresentato da bianchi di tempra fresca e appuntita, in molti casi quasi “nordica”, giocati sulla frutta acerba, gli agrumi, le erbe, ma soprattutto su strutture agili, scorrevoli, snelle, impostate sullo scheletro verticale e salino più che sulla spalla materica. Limiti di volume ampiamente compensati nelle migliori riuscite (e ce ne sono, come vedremo nei prossimi giorni) dall’energia sapida e da un nerbo citrino non necessariamente crudo o sguarnito, che lascia intendere ampi margini di crescita in bottiglia, soprattutto in termini di equilibrio e complessità.

Naturalmente il punto di osservazione è fondamentale nella valutazione sintetica di un’annata oggettivamente difficile da gestire in vigna. Per essere chiari non è la vendemmia che può mettere tutti d’accordo, né è il millesimo da consigliare a qualunque tipo di palato, come magari poteva essere la multidimensionale 2010. Chi cerca già in questa fase ampiezza espressiva e piacevolezza di beva, difficilmente potrà entrare in completa sintonia con buona parte dei 2013. Chi invece non ha problemi con una certa quota di durezze e considera l’armonia e l’equilibrio come concetti dinamici, è probabile che possa trovare in questa annata diverse opzioni ideali per fare scorta e divertirsi a distanza di tempo. Ulteriori soddisfazione ed entusiasmo questi vini potranno presumibilmente scatenare in quei bevitori che percepiscono come valore aggiunto l’identità varietale, la riconoscibilità delle macro-aree, la personalità stilistica. In una vendemmia di questo tipo la mano del vigneron ha un “peso specifico” decisivo, nel bene e nel male: mentre nella 2011 e nella 2012 la forbice tra le varie riuscite poteva apparire piuttosto limitata, nella 2013 si amplificano le distanze e le differenze interpretative. Ci si annoia di meno e ci si può divertire di più, detta in soldoni, anche perché i listini restano stabili (purtroppo o per fortuna, a seconda dei punti di vista) e si può recuperare praticamente tutto il meglio della regione a prezzi compresi tra gli 8 e i 20 euro.

Nei prossimi giorni proveremo ad entrare maggiormente nel dettaglio con una serie di focus specifici dedicati alle principali zone e tipologie, con l’idea di verificare come le indicazioni “generali” vanno a dialogare con le variabili ampelografiche e territoriali della vendemmia 2013 in bianco, cominciando anche a fare qualche nome. Non c’è fretta per berli, ma questo è il momento di programmare gli acquisti per non rischiare di muoversi quando i vini più interessanti non saranno più disponibili in cantina. E sarebbe un vero peccato.

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L'Autore

Paolo De Cristofaro

Paolo De Cristofaro

Irpino classe 1978, lavora a tempo pieno nel mondo del vino dal 2003, dopo la laurea in Scienze della Comunicazione e il Master in Comunicazione e Giornalismo Enogastronomico di Gambero Rosso. Giornalista e autore televisivo, collabora per numerose guide, riviste e siti web, tra cui il blog Tipicamente, creato nel 2008 con Antonio Boco e Fabio Pracchia. Attualmente è il responsabile dei contenuti editoriali del progetto Campania Stories, nato da un’esperienza ultradecennale nell’organizzazione degli eventi di promozione dei vini irpini e campani con gli amici di sempre. Dal 2013 collabora con la rivista e il sito di Enogea, fondata da Alessandro Masnaghetti.
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