Antoine Gaita, vigneron a Montefredane (AV)

La Congregazione senza Vigna: il 2012 di Villa Diamante è Campania Fiano Igp

Ci risiamo. Dopo il “caso” Cantina del Barone (link), un’altra azienda di primissima fascia nel panorama del fiano irpino deve fare i conti con le bizzarrie – per usare un eufemismo – che da qualche tempo a questa parte accompagnano le procedure necessarie all’ottenimento della Docg.

Da qualche settimana è in commercio l’annata 2012 del fiano di Villa Diamante, l’azienda fondata a Montefredane da Antoine Gaita e Diamante Renna nel 1997. Non lo troverete vestito con la solita fascetta ed etichetta, ma con l’indicazione Campania Fiano Igp “La Congregazione”. Come già accaduto a Luigi Sarno, il vino è stato bocciato dalla Commissione di Assaggio (in prima e in seconda sessione) e anche questa volta tutte le “motivazioni” sono affidate ad una tabella che recita testualmente “anomalie olfattive e gustative”.

Anche in questo caso non è dato sapere quali siano queste anomalie, anche in questo caso suona a dir poco lunare uno stop per quella che è una delle prime etichette che vengono in mente per spiegare le specifiche territoriali del fiano irpino, i cru di Montefredane, il carattere artigianale nel senso più bello del termine, la longevità, e così via. Essendo una parcella registrata, non è possibile per Antoine e Diamante commercializzare il loro cru con il nome Vigna della Congregazione al di fuori della Docg.

Contattato dalla redazione di Campania Stories, Antoine Gaita ci tiene a sottolineare soprattutto un aspetto: «Al di là della vicenda personale, è arrivato il momento di interrogarsi seriamente sui criteri con cui operano e giudicano le commissioni incaricate di autorizzare la commercializzazione sotto il cappello di una Docg. Specialmente in quella denominazioni, come il Fiano di Avellino, dove il disciplinare (link) fissa dei paletti a dir poco vaghi e generici per quanto riguarda le caratteristiche organolettiche con cui devono presentarsi i vini all’assaggio. Se non viene fatta un’operazione di spiegazione e trasparenza, credo che l’unica strada sia uscire definitivamente dalla denominazione».

Il rischio è proprio questo: che i migliori interpreti di un’area produttiva siano costretti da decisioni del genere a concentrare tutto il lavoro – anche di comunicazione – sul proprio marchio, i propri volti, la propria individualità stilistica, rinunciando completamente ad ogni legame territoriale, ad ogni ipotesi di mappatura e valorizzazione collettiva. Specialmente se viene a mancare il supporto di argomentazioni chiare nei provvedimenti e quando si manifesta una distanza tanto netta tra le percezioni di critici, operatori e appassionati e quelle di tecnici e burocrati investiti di responsabilità così importanti.

E in attesa di nuovi sviluppi (e a questo punto di ulteriori plausibili bocciature eccellenti) non posso far altro che rimandarvi all’articolo che solo qualche settimana fa abbiamo dedicato alla vicenda di Cantina del Barone (link). Ogni ulteriore commento sarebbe superfluo e probabilmente in questa fase più delle opinioni urge mobilitazione e azione di gruppo.

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L'Autore

Paolo De Cristofaro

Paolo De Cristofaro

Irpino classe 1978, lavora a tempo pieno nel mondo del vino dal 2003, dopo la laurea in Scienze della Comunicazione e il Master in Comunicazione e Giornalismo Enogastronomico di Gambero Rosso. Giornalista e autore televisivo, collabora per numerose guide, riviste e siti web, tra cui il blog Tipicamente, creato nel 2008 con Antonio Boco e Fabio Pracchia. Attualmente è il responsabile dei contenuti editoriali del progetto Campania Stories, nato da un’esperienza ultradecennale nell’organizzazione degli eventi di promozione dei vini irpini e campani con gli amici di sempre. Dal 2013 collabora con la rivista e il sito di Enogea, fondata da Alessandro Masnaghetti.
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