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C’eravamo tanto concentrati

“Il Serpico ’00, Aglianico in purezza da viti centenarie, è altrettanto coinvolgente, profondo, esaltante. Anche qui troverete una densità e una concentrazione fuori dal comune che si esprimono con un’armonia d’insieme e una finezza da grande classico. Ancora tre bicchieri”. Guida Vini d’Italia 2003 Gambero Rosso Editore Slow Food Editore.

Il primo mese di Campania Stories mi ha “costretto” a ragionare quotidianamente di Campania e vino. Mi fa bene leggere gli interventi, competenti e attuali dei miei compagni di avventura (cliccate qui sotto se volete dissentire) e da parte mia non mi lascio più sfuggire le occasioni di incontro con i vini di questa regione.

Ieri, per esempio, ho comprato una bottiglia di Serpico 2000 dei Feudi di San Gregorio *. Erano i gloriosi anni dell’era Ercolino-Cotarella, anni che cavalcavano l’entusiasmo dei vini muscolosi e densi, dove si pensava quasi a un modello unico di eccellenza, veicolato attraverso un’impostazione enologica per molti versi omologante.

Da questo punto di vista la scheda della Guida Gambero Rosso-Slow Food, riportata all’inizio del post, è paradigmatica rispetto al pensiero critico dominante di quegli anni. Nel 2003 in tutto il testo non compare un solo riferimento alla viticoltura applicata, alla posizione degli impianti, non vi è la minima analisi della prospettiva produttiva in relazione sia alle proprie inclinazioni, sia alle caratteristiche identitarie di una denominazione. Si celebra il Patrimo 2000, rosso dell’anno, ottenuto da una vigna di merlot ventennale. Si parla di cult wines e di “persistentissime” caratteristiche organolettiche.

Dieci anni dopo il modo di descrivere i vini è cambiato, per fortuna, e anche l’azienda più internazionale della Campania ha decisamente corretto la direzione della propria bussola produttiva. Ma ciò che è rimasto di allora, l’ho stappato ieri sera.

Serpico

Il Serpico ’00, aglianico in purezza da viti centenarie, aperto nel Giugno 2014 è vino di impenetrabile rubino scuro. Esprime profumi monolitici di vaniglia e more in confettura, ancora presenti e integri, ma di una robustezza ridondante e a tratti caricaturale. Baluginano cenni di radice, liquirizia e corteccia che ricordano il vitigno originario. In effetti troviamo la densità e la concentrazione, celebrati dalla scheda riportata, ma dove sono la finezza e l’eleganza del vitigno? Qui è una materia che fatica a dipanarsi, un sorso che non scorre, un finale amaro di cenere e tannino in esubero.

Le verifiche a distanza di tempo sono fondamentali per capire innanzitutto il presente e come in molti casi siamo noi stessi a cambiare e cercare stimoli diversi, non solo nelle cose vinose. Feudi probabilmente non sarebbe quella che è oggi senza quella fase e senza questo Serpico che ci aiuta a ricordare un periodo cruciale per lo sviluppo del vino meridionale, e non solo, nel bene e nel male. Una fase come detto ampiamente superata da una storia completamente diversa per la corazzata di Sorbo Serpico, sotto molti aspetti rivoluzionaria, su cui vale la pena di tornare presto. Perché non si può dar nulla per scontato quando si parla di terra e uomini, a maggior ragione quando ci muoviamo in un laboratorio così straordinariamente fluido come quello campano.

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L'Autore

Fabio Pracchia

Fabio Pracchia

Nato a Lucca nel 1973, lavora nel mondo del vino da circa vent’anni. Una dimensione totalizzante vissuta da diverse prospettiva, da operaio in vigna ad enoteca rio, da assaggiatore professionale a redattore. Dal 2009 collabora con i nuovi progetti editoriali di Slow Food, a cominciare dalla guida Slowine, dove il racconto della qualità organolettica è strettamente legata agli aspetti etici ed umani della produzione vitivinicola italiana.
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